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La storia aggiustata che piace alla Ue

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/02/04/la-storia-aggiustata-che-piace-alla-ue/5694476/

Daniela Ranieri

Che i parlamentari europei di tutti gli schieramenti ne sapessero poco di Storia e/o maneggiassero i fatti orribili avvenuti durante la Seconda Guerra mondiale con disinvoltura, lo si era già capito a settembre scorso, quando hanno votato la risoluzione che invita i Paesi membri a equiparare nazismo e comunismo (quest’ultimo chiamato anche indifferentemente stalinismo) in quanto totalitarismi equivalenti. Come è ormai chiaro, la risoluzione è stata il frutto della pressione dei Paesi di Visegrád in chiave anti-russa col beneplacito delle élite europee.

In questi giorni dedicati alla Memoria dell’Olocausto, sempre da lì (dal luogo sovranazionale delle Istituzioni europee) sono giunte altre prove di faciloneria storica e della tendenza a edulcorare il passato per corroborare la retorica comunitaria. Il 27 gennaio l’account Twitter della Commissione Europea parte con una citazione di Elie Wiesel, scrittore rumeno e premio Nobel per la Pace sopravvissuto a Auschwitz e Buchenwald: “Dimenticare i morti sarebbe ucciderli una seconda volta”. Poi prosegue: “75 anni fa, le forze alleate hanno liberato il campo di Auschwitz-Birkenau. Non dimentichiamo”. È proprio perché non dimentichiamo che sappiamo che Auschwitz-Birkenau è stato liberato dall’Armata Rossa, l’esercito di Stalin (e non dagli americani come nel film di Benigni), il 27 gennaio del 1945. Anche se tecnicamente l’Armata Rossa faceva parte delle “forze alleate”, a entrare nei campi fu, da sola, la Prima Armata del Fronte Ucraino Ivan Stepanovic Konev, che fino al ’43 si chiamava Fronte Voronež (ed era russo, non ucraino come sostengono assurdamente gli ucraini). I sopravvissuti lo sanno: lo ha scritto Primo Levi e lo ha ripetuto Liliana Segre, liberata dall’Armata Rossa a Malchow-Ravensbrück, nel suo magnifico discorso al Parlamento europeo. In quel contesto, il presidente David Sassoli – che secondo alcune fonti si è battuto per modificare la risoluzione di settembre – ha tenuto un bel discorso, un passo del quale vale la pena riportare: “Auschwitz è stato costruito da europei e noi siamo chiamati ad assumerci questa paternità perché quello che è successo incombe su di noi e ci chiama alla responsabilità”. È un’affermazione pedestre. Auschwitz, come altri campi di sterminio nei territori occupati dal Terzo Reich, è stato costruito dai tedeschi, nel 1940. Erano tedeschi colti, intrisi di ideologia razzista, imbevuti di nazionalismo e antisemitismo, che perseguivano un preciso programma di eliminazione degli ebrei definito sul lago Wannsee sotto il nome di “soluzione finale”. Non sono stati gli inglesi, né gli spagnoli, né i greci, né tantomeno “gli europei”, stante l’incontrovertibile dato che l’Europa come entità comunitaria nel 1940 non esisteva, e proprio in quegli anni Altiero Spinelli, dal confino, stava maturando le sue idee sul federalismo europeo (il Manifesto di Ventotene è del 1941). Mentre i tedeschi progettavano il genocidio, in Francia gli occupanti, aiutati dai collaborazionisti di Vichy, agevolavano la raccolta e il transito di prigionieri verso i campi di sterminio e in Italia i fascisti smistavano ebrei, prigionieri politici, minoranze etniche, disabili e omosessuali nei campi di Fossoli, Bolzano, Borgo San Dalmazzo, Sparanise, Afragola e Ferramonti, o li sterminavano in loco, sotto la regia dei tedeschi, nella risiera di San Sabba a Trieste. C’è stata una guerra civile, in Italia, perché la responsabilità degli eccidi non fosse “di tutti noi”. Erano tedeschi i lager e la metafisica identitaria della superiorità della razza ariana, era tedesco Himmler, si sentiva tedesco l’austriaco Hitler. I processi di Norimberga non avrebbero potuto tenersi indifferentemente a Capri, o a Parigi, o su una nave a largo del Tirreno, come usa oggi nei summit dei leader europei. Il nazismo doveva essere giudicato nella terra in cui era nato come sconcio nazionalista.

Nel 1949 il filosofo tedesco Theodor W. Adorno scrisse a Thomas Mann: “Noi tedeschi, ha detto candidamente un mio allievo, non abbiamo mai preso sul serio l’antisemitismo. Lo pensava sinceramente, ma io dovetti rammentargli Auschwitz. Occorre sempre fermarsi a riflettere per ricordarsi che il vicino di tram può essere stato un boia”. È il motivo per cui è impossibile immaginare che un nipote di Hitler sieda nel Bundestag o al Parlamento europeo, mentre in Italia la nipote del duce, già parlamentare europea, va in Tv, invitata, a dire che la senatrice Segre “fomenta l’odio” e a chiedere di onorare il nonno, colui che ha disonorato l’Italia. Il contesto è tutto. L’attualizzazione e la narrazione fantasy di vicende storiche avvenute in un dato e irripetibile contesto spazio-temporale e culturale è una delle mistificazioni della storiografia pop in voga su Internet, che spesso sfocia nella rimozione e nel negazionismo criminale, e in ogni caso non è un servizio che si rende alla Memoria.
Daniela Ranieri